Volta Mantovana nel Medioevo era un centro fortificato. Sulla sommità della collina il castello dominava il territorio circostante ed era caratterizzato da due cinte murarie principali: una che delimitava l’area più difesa, con pochi edifici e il mastio, oggi la torre campanaria del paese, e una più ampia che racchiudeva anche numerose case ed edifici e che aveva due porte principali: la Porta Leonis, rivolta verso nord-ovest e oggi scomparsa, e la Porta Mantovana, della quale sopravvivono alcune tracce, tra cui l’arco gotico in via Chiesa. Attorno alle mura correva un fossato, di cui oggi sopravvive tutta la parte sud-occidentale, costeggiata da via Fosse.
Nella seconda metà del Quattrocento i Gonzaga possedevano molte campagne e case nel territorio di Volta, alcune anche dentro al perimetro delle mura. Da questo nucleo di case interno al castello nel 1465 ebbe inizio la costruzione di Palazzo Gonzaga, voluto da Barbara di Brandeburgo, moglie del Marchese Ludovico Gonzaga, Signore di Mantova come residenza di campagna, dove ritemprarsi dalle fatiche della corte e rifugiarsi nei periodi di calura o di epidemia in città.
Il palazzo era anche un ottimo punto di appoggio per controllare i propri territori, visto che si trovava al confine con i domini veronesi.
Barbara e Ludovico vi si recarono spesso con la famiglia fino alla morte di lui, nel 1478, anno in cui, dalle lettere che sono giunte fino a noi, i loro nipoti, figli del Marchese Federico, vennero a Volta, accompagnati dai medici di corte e dal proprio seguito, per fuggire dalla peste che infuriava a Mantova e per riacquistare la salute.
Nel 1515 il Palazzo venne donato dai figli di Rodolfo Gonzaga alla famiglia Guerrieri in segno di riconoscenza per l’aiuto militare ricevuto. Da questo momento i Guerrieri Gonzaga abiteranno il palazzo per secoli, abbellendolo e rinnovandolo quando necessario e aggiungendo nuovi ambienti come le scuderie, la stanza del gioco della palla corda e i giardini.
Verso la metà dell’Ottocento il palazzo passò di nuovo ai Gonzaga, più precisamente ad Achille Gonzaga di Vescovato, e nel Risorgimento vi si insediarono più volte i quartieri generali ora del Piemonte, ora dell’Austria. Nel 1848, Carlo Alberto assegnò da qui alla marina da guerra la bandiera tricolore, come ricorda l’epigrafe sulla facciata. Nel 1859, Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, pose nel Palazzo il suo quartier generale durante la battaglia di Solferino e da qui fuggì verso Verona; infine in occasione della battaglia di Custoza, nel 1866, questo fu il punto di osservazione per i generali piemontesi.
Nel 1929 la proprietà passò ai marchesi Cavriani e, nel 1981, fu acquistata dal Comune di Volta che ne fa la sede municipale.
Il percorso di visita si snoda all’interno del palazzo e dei giardini, toccando tre sezioni principali: l’area nobile, l’area delle cucine e i giardini. L’area nobile e i giardini sono visitabili nel corso della settimana, negli orari di apertura del Municipio, mentre l’area delle cucine è aperta solo nel fine settimana (per giorni e orari di apertura vedi la pagina Contatti
L’area nobile è in gran parte occupata dagli uffici comunali e dunque visitabile solo parzialmente.
Si accede dal salone d’ingresso, detto Sala del Camino per il grande camino in marmo rosso sulla cui cappa fu riprodotto nel XIX secolo lo stemma nobiliare dei Gonzaga.
Salendo l’ampio scalone, il Salone delle Feste, utilizzato come sala di rappresentanza, per i ricevimenti e, nei periodi di guerra, per importanti riunioni militari, colpisce il visitatore per la sua magnificenza. L’attuale decorazione fu realizzata alla fine del XVIII secolo dal pittore Paolo Zandalocca, di scuola neoclassica mantovana. La sala conserva intatto il fascino vezzoso del trompe l’oeil, tipico di questo periodo.
Varcando la soglia di una delle due porte poste in fondo alla sala, si accede alla Sala delle Forze di Ercole, recentemente riportata al suo splendore cinquecentesco, caratterizzata da imponenti figure femminili, da colori tenui e da un bel soffitto originario a cassettoni.
Accanto, la Camera del Re, realizzata per ospitare Vittorio Emanuele nel 1909, nel corso delle Grandi Manovre, ben testimonia le trasformazioni continue che il palazzo subì nei secoli, così come il bagno, posto a fianco, ricavato all’interno dell’antica Cappella di palazzo, realizzata nella seconda metà del Cinquecento.
L’Ala Nord del palazzo è occupata dagli ambienti servili gravitanti attorno alla grande cucina, probabilmente realizzata verso la fine del XVI secolo in sostituzione di una cucina più antica. Al suo interno ospita la Mostra Permanente della Convivialità e del Vino nel Rinascimento, che permette al visitatore di immergersi nell’atmosfera del tempo, passando dallo sfarzo del banchetto alle suggestioni della cucina, delle dispense, della ghiacciaia e delle cantine, assaporando la magia di un’epoca e di un luogo ricco di fascino.
All’interno di una piccola cantina è possibile visitare una suggestiva mostra di reperti archeologici rinvenuti in una fossa di scarico delle cucine e databile tra la metà del XVI secolo e il XVII secolo. Accanto a piatti, boccali, calici in vetro soffiato, bottiglie, posate e altri oggetti legati alla cucina e alla tavola, sono esposti anche altri materiali legati alla vita quotidiana degli abitanti del palazzo. I risultati delle ricerche sono stati raccolti in un libro, Rinascimento Quotidiano, in vendita presso l’Info Point.
La cucina, utilizzata fino agli anni Settanta del secolo scorso, conserva tracce di trasformazioni e adattamenti legati alle varie epoche di utilizzo. Il camino è stato adattato nel tempo, fino all’adozione della monumentale stufa a legna che cappeggia nel mezzo della stanza.
La visita si chiude nei giardini, realizzati a differenti quote tra il XVI e il XIX secolo.
Il giardino superiore venne costruito nella prima metà del Cinquecento sulle fosse ormai inutilizzate che circondavano il castello medievale. Nel secolo successivo fu ampliato, con la realizzazione della seconda terrazza. Il primo giardino aveva tre loggiati simili a quelli odierni, ma costituiti da colonne di rovere su cui si arrampicavano rose e gelsomini. Nei vasi di terracotta c’erano gelsomini, oleandri, garofani e, lungo i viali, siepi di mortella. Completavano la scenografia 24 cipressi grandi, accompagnati da 150 piccoli.
Nel giardino inferiore, nato nel corso del Seicento, vi era al centro una grande cupola dorata, sotto cui era posto un grande tavolo ottagonale, e poco più a sud una fontana, sormontata da una statua di Nettuno che, con un tridente dorato in mano, cavalcava un delfino. Vi erano poi numerosi pergolati di gelsomini che correvano lungo i lati del giardino e che giungevano fino alla cupola centrale, a formare un percorso ombreggiato e fiorito sotto cui passeggiare.
Il terzo giardino fu aggiunto nel secolo successivo; era simile al secondo, un giardino di piacere con vasi e aiuole fiorite, e a nord era delimitato da un grande edificio a due piani, oggi non più esistente: una limonaia, sullo stile di quelle ancora visibili sul Garda. Questa struttura cadde in disuso quando nel 1826 Tullio Guerrieri, l’allora proprietario del palazzo, acquistò la chiesa di San Carlo, posta all’esterno del palazzo, e il piano terra dell’antica chiesa interna alla dimora fu trasformata in una limonaia, ancora oggi esistente.
Il quarto giardino, posto ad una quota ancora più bassa, risale all’Ottocento. A nord era delimitato dalla “Morara”, un boschetto di gelsi, che a sua volta comunicava con gli orti, posti nell’area a nord del primo giardino, in diretta comunicazione con l’area servile delle cucine.
L’attuale sede dell’Info Point e dell’Enoteca Gonzaga, nell’Ala Sud, è conosciuta, già dal Seicento, come la Casa del Giardiniere, sotto la quale stavano, già dal medioevo, le cantine in cui si producevano diversi tipi di vino, tra cui la Vernazza di Volta, probabilmente un passito, famosissimo in tutta Europa, di cui si è persa ogni traccia.
Questa sala viene chiamata Sala delle Proiezioni, dato il suo utilizzo nei primi del ‘900 per la proiezione di film. La stanza è caratterizzata da un soffitto di legno a cassettoni ridipinto nell’800. Nel fregio floreale che corre intorno alla stanza si possono notare stemmi decorativi con motti in latino: si tratta di motti gonzagheschi, ripresi evidentemente dai Guerrieri per connotare le caratteristiche della famiglia. Questi motti sono: “Fides” = “fede”; “Domine probasti” = “Signore mi hai messo alla prova”; “Nec spe nec metu” = “Né con la speranza, né con la paura”.
La Limonaia fu ricavata dopo il 1826 nell’antico Oratorio del palazzo, dismesso e sostituito con la chiesa di San Carlo, posta sul lato opposto della strada. L’originaria chiesa, costruita alla fine del Cinquecento, aveva una porta d’ingresso verso la strada, ancora visibile dall’esterno, che permetteva in alcune occasioni agli abitanti del paese di partecipare alle funzioni religiose. Ai nobili proprietari era riservato un poggio o balconata da dove ascoltavano la Messa.
A metà navata c’era una balaustra di legno di noce e in fondo, verso i giardini, si trovava l’abside con l’altare, con una tela raffigurante la Natività della Beata Vergine. Nel 1826 l’Oratorio fu dismesso e riutilizzato negli anni successivi come limonaia. Fu costruito un solaio a metà altezza, in modo da ricavare un’ulteriore stanza al primo piano, mentre la limonaia fu dotata di gradoni per ricoverare durante l’inverno i vasi di limoni e di aranci del giardino, per ripararli dal freddo. Delle tre stufe a legna poste ai lati e al centro della stanza, solo quella sulla sinistra era realmente funzionante e serviva per riscaldare l’ambiente.
Dagli inventari di palazzo sappiamo che almeno a partire dal 1600 questo salone è l’ingresso principale del Palazzo, ma è probabile che lo fosse già dai tempi di Barbara e Ludovico Gonzaga. Il nome odierno deriva dal grande camino in marmo rosso con zampe di leone, che insieme alle due grandi porte-finestre ad arco che danno accesso al giardino superiore caratterizza la sala. Lo stemma araldico dei Gonzaga dipinto sulla cappa del camino risale all’Ottocento, con quattro aquile imperiali e due leoni di Boemia. Lo stemma viene ripetuto nella parete di fronte.
Sopra il camino, nel fregio che orna la sala, si può notare una museruola e la parola “cautius”, che testimonia la riservatezza e la fedeltà verso il principe. Si tratta dell’insegna araldica di Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d’Este e Signore di Mantova che nel 1506 concesse a Ludovico Guerrieri l’onore di fregiarsi del cognome Gonzaga, dello stemma e dell’insegna di Francesco, per i molti meriti e la fedeltà di Ludovico, funzionario e consigliere personale del marchese. Il palazzo fu donato a Ludovico nel 1515 e la museruola è stata tramandata fino ad oggi dai proprietari del palazzo in questo fregio che risale agli inizi del Novecento.
Questa sala viene chiamata del Biliardo, per l’utilizzo che ne veniva fatto nelle fasi di vita più recenti del palazzo. Il soffitto è ricoperto di tele monocromatiche. Nella parte superiore delle pareti ci sono motivi floreali e geometrici con cornici che racchiudono putti di gusto neoclassico. Sopra al camino di marmo, si trova una scena che rappresenta Paride che assegna il pomo a Venere, che gli offre l’amore della donna più bella, Giunone, che offre il mondo e Minerva, che promette la gloria militare.
Questo era lo studio dove i proprietari del Palazzo sostavano in lettura o ricevevano gli amici. Le decorazioni mantengono lo stile neoclassico che riprende il repertorio pompeiano. Gli allievi dell’accademia di Belle Arti, sorta a Mantova nella metà del 1700, diffondono in tutto il mantovano e nei suoi palazzi il gusto classicheggiante che si ispira alle ville cinquecentesche e agli studi per i restauri di Palazzo Te.
Il cromatismo delle pareti viene armonizzato con quello del soffitto, richiamando ovunque i toni del blu, del rosa e del verde. Così pure sullo sfondo si alternano le coloriture dei verdi e rosa. Anche i motivi floreali e faunistici posti in posizione centrale, rielaborano motivi manieristi del Cinquecento. Le forme geometriche del cerchio e del quadrato, suddividono le pareti in modo simmetrico, incorniciano medaglioni con guerrieri in abiti romani, che sembrano riferirsi a quanto in passato rese celebri i proprietari e diede loro, forse, il cognome. I ventagli che si trovano negli angoli, sono abbellimenti legati alla decorazione del primo Ottocento. Sopra alle due porte si trovano stemmi araldici. Il pavimento dell’Ottocento è in cotto, come nelle sale precedenti.
Proprio come per la Sala delle Arti, anche lo Studio Neoclassico veniva utilizzato dai signori Guerrieri Gonzaga come luogo per lo svago ed il riposo. Le decorazioni in stile pompeiano sono molto simili a quelle che si possono trovare nell’antica casa dei Guerrieri a Mantova. Di fronte all’ingresso è collocato uno stemma collegato a casa Guerrieri, mentre sulle rimanenti pareti scene incorniciate da sottili profici decorati e comprese tra ridondanti motivi floreali e faunistici, rappresentano su fondo scuro figure di guerrieri in abiti romani che sembrano narrare ciò che in passato distinse e rese celebri i proprietari e da cui probabilmente deriva lo stesso cognome “Guerrieri”.
La sala da Pranzo del Palazzo è illuminata da grandi finestre che si aprono sul giardino, addolcite da una forma strombata con arco ribassato. Il soffitto a cassettoni ha decorazioni a stampa, il fregio intorno al soffitto è tipico delle ville dell’Ottocento.
Sulla parete di fronte alle finestre vi sono decorazioni policrome con tinte delicate, dal verde al rosato: sono solo una parte di un ornato più ampio, che occupava tutte le pareti. I vasi erano appoggiati su una balaustra marmorea, che girava tutto intorno alla stanza. Sopra questa si ergeva un pergolato che richiamava quello del giardino esterno. Due fanciulle, simili alle cariatidi, sostenevano il vaso a destra. Vi è dipinto un medaglione, sempre di ispirazione neoclassica, che ritroviamo nel salone d’onore. Due manici a delfino, presenti nel vaso di sinistra, richiamano i fregi dell’ingresso.
Questa stanza era adibita, nell’ultimo periodo, a biblioteca. Il soffitto a cassettoni è molto semplice con decorazioni in rosso e nero. Sulle pareti vi sono due affreschi rappresentanti i “paesaggi ideali” (non di Volta), tipici della decorazione del primo ‘800 legata alla ricerca neoclassica.
La grande cucina del palazzo risale alla fine del Cinquecento. Negli inventari si parla infatti di una cucina più antica, posta al piano terra, vicino al salone d’ingresso, affacciata sui giardini, che fu evidentemente sostituita da quella attuale quando la casa fu ampliata verso nord, con nuovi ambienti di servizio.
La cucina si presenta come il risultato di numerose fasi di trasformazione e di adeguamento realizzate dai vari proprietari nel corso dei secoli, ma conserva tutta l’atmosfera e il fascino dell’antico. Il grande camino, che in origine doveva essere più ampio, è stato nel tempo rialzato e trasformato in un piano cottura, al quale poi è stata affiancata la grande stufa a legna.
Dobbiamo immaginare la cucina arredata con lunghi tavoli, credenze, piattaie e piena di pentole, paioli, ceste di verdura, frutta, selvaggina. Cuochi, fantesche e servi si affaccendavano per preparare cene, colazioni, pranzi e banchetti. Il grande lavello è un pezzo unico di marmo. Intorno alla cucina si aprivano altri ambienti di servizio ad essa legati: il tinello, la dispensa, le cantine, due cortili e fuori, sul retro, gli orti e la ghiacciaia.
Al primo piano, nel corridoio a destra del grande scalone, sopravvive una parte della struttura più antica, forse quella gonzaghesca, caratterizzata da un motivo a rombi in stile medievale. Il corridoio risale all’Ottocento; prima questa parete faceva parte di un’ampia stanza, posta in successione con altre simili, probabilmente destinate a camere da letto.
Il bellissimo soffitto a cassettoni risale al Cinquecento. E’ composto da formelle con fondo rosso pompeiano, al centro delle quali, all’interno di ovali scuri, si ripetono alternandosi figure chiare che riproducono musici e danzatrici. Il soffitto prosegue nella camera adiacente, a riprova dell’originaria assenza del corridoio.
Le porte sono ottocentesche, con intarsi geometrici in varie essenze di legno.
In questa camera con il soffitto a cassettoni sul fondo rosso vermiglio, ricompare il motto “Domine probasti” = “Mi hai messo alla prova, mio Signore”. La cornice attorno alle pareti, in alto, non rispetta le simmetrie classiche. Probabilmente la fascia centrale dei marroni, è un rifacimento o una correzione di una prima soluzione, che era poi apparsa insoddisfacente e quindi riempita con un motivo accostato al bordo più alto, per nascondere l’effetto della prima fascia indebolita. Le lumeggiature sono eseguite a puntinaggio per dare luce.
Questa stanza conserva ornamenti floreali del 1800. Le ombreggiature delle pareti testimoniano la precedente presenza di affreschi più estesi. Osserviamo i riquadri con tavolini su cui poggiavano probabilmente nature morte. E’ appesa qui una tela che raffigura una Madonna di pittore popolare del ‘600, era originariamente collocata in un’edicola esterna al Palazzo. Da osservare poi la scultura lignea, raffigurante un moro, che era probabilmente colorata e serviva da portalume.
In questo studiolo, di dimensioni ridotte e dall’atmosfera intima e ovattata, immaginiamo che si leggesse e si scrivesse la corrispondenza privata o si conservassero i ricordi più cari. Ritroviamo qui le decorazioni a candelabra su fondo nero già viste e la stessa risoluzione dello stilema superiore (un ricco fogliame disposto a cupola). Sopra ad ogni candelabra vi sono teste umane contenute nel fregio che ricorda il soffitto. Lo stile è ancora quello degli artisti di scuola neoclassica più volte presenti nel Palazzo.
Lo sfondo delle pareti si mantiene rosato, senza variazioni a causa delle piccole dimensioni della stanza. Sono degni di rilievo i cesti floreali nei pannelli sopra le porte, che aggiungono note fresche e naturali con i loro colori pastello. Si distinguono nelle composizioni persino i tipi di fiore, come tulipani, giacinti, narcisi, e rose con le rispettive foglie. Sono contenuti in cestini che poggiano su un raffinato drappeggio. Nei riquadri allungati accanto alla finestra, due motivi in ovali simmetrici con foglie di quercia e rami di ulivo, alludono ai significati della vita immortale e della fede. Nei rombi blu oltremare, tutti ritoccati, spiccano figure di divinità greco-romane come Apollo e la musa Talia, protettrice della poesia giocosa, Diana cacciatrice, con il cane, Minerva divinità guerriera, ed infine Venere e Bacco.
La costruzione dell’Oratorio risale al 1594. Troviamo la descrizione della chiesa in un documento del 1732: aveva un campanile, un altare di marmo, una balaustra di legno di noce, banchi per la gente del luogo e una loggia per i proprietari. Nelle volte a crociera, gli affreschi del pittore Teodoro Ghisi, un pittore che nella seconda metà del 1500 lavora per i duchi Guglielmo e Vincenzo Gonzaga. E’ un artista che respira la cultura pittorica di Giulio Romano. Al centro vediamo la Trinità che incorona la Vergine e quattro Evangelisti in un cielo di nuvole solcate da angeli e, sulle pareti laterali, un Papa, un Vescovo e un Cardinale. Sopra l’altare l’arco trionfale con l’affresco dell’Annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria, ora visibile nel corridoio.
Questo Oratorio comincia a perdere la sua funzione nel 1826, quando Tullio Guerrieri acquista la Chiesa di S. Carlo e dimezza la Cappella con un soffitto in legno adibendo questo locale ad appartamento. Nel 1909, in occasione della visita di re Vittorio Emanuele III la stanza viene trasformata in bagno, arredato con i sanitari in parte ancora oggi visibili. Successivamente la stanza viene tinteggiata completamente, ma grazie alla sensibilità dell’imbianchino incaricato dei lavori, che decise di trattare le pareti con il latte prima di pitturare, oggi è stato possibile riportare alla luce gli splendidi affreschi.
Nel 1909, in occasione delle grandi manovre, la stanza viene preparata per il pernottamento del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena. Gli stucchi del soffitto sono in stile sabaudo, eseguiti da uno stuccatore venuto appositamente da Torino. Alle pareti vi è una tappezzeria di seta gialla. Sotto la tappezzeria ci sono tracce di una decorazione precedente con cornice e riquadri. Nella parete verso l’Oratorio era inserito un balconcino che permetteva ai Signori di affacciarsi sulla cappella sottostante. Nell’arco era collocato un sontuoso letto a baldacchino.
Sala con decorazioni della fine del XVI secolo, recentemente riportate in luce da un restauro che ha asportato gli strati di decorazione successivi che le ricoprivano. Anche il soffitto a cassettoni, finemente decorato nei toni dell’azzurro e del crema, è originario di quell’epoca.
La stanza era collegata alla sala d’Onore da una porta posta in posizione centrale, ora chiusa e sostituita dalle due laterali.
Le figure femminili che la caratterizzano incarnano perfettamente l’ideale di bellezza del tempo; la loro possenza, che prima dei restauri, si intravedeva al di sotto di intonaci più recenti, ha fatto pensare per lungo tempo che la sala fosse dedicata in qualche modo ad Ercole. Da qui il nome: Sala delle forze di Ercole.
La tecnica usata è la tempera grassa, che si differenzia dall’affresco perché occorre l’intonaco a “secco” e non a “fresco”.
Questa è una delle stanze più ampie del Palazzo ed è sicuramente la più rappresentativa, quella in cui si ricevevano gli ospiti illustri e si tenevano i ricevimenti, nonché, in periodo di guerra, luogo centrale per riunioni militari. Da notare sul grande trave al centro del soffitto del Settecento di tonalità verde, un riquadro con decorazioni sul rosso, giallo e azzurro: si tratta di un saggio eseguito dai restauratori, che ha riportato in luce, sotto l’attuale decorazione, quella precedente, risalente a Cinquecento.
Dal punto di vista pittorico la sala è molto importante per le decorazioni tipiche del neoclassico mantovano, sviluppatosi alla metà del settecento tramite il diffondersi della scuola classico romana nell’ambito dell’Accademia di belle arti di Mantova (nata nel 1752) conosciuta come Accademia Virgiliana. La struttura della decorazione si rifà alle divisioni in pannelli tipici dello stile pompeiano e tuttavia si riprende lo stile cinquecentesco mantovano. Infatti il trompe d’oeil centrale richiama in modo evidente la struttura architettonica del cortile di Palazzo Te. La rappresentazione del corridoio, rispecchia il reale corridoio che c’è sull’altro lato della stanza. Tutti gli elementi figurativi richiamano la classicità: volti, statue, gruppi di strumenti, oggetti e gruppi di soldati; mentre l’aspetto illusionistico delle decorazioni è legato maggiormente al cinquecento.
Tutte le decorazioni sono opera del pittore Paolo Zandalocca allievo del Bassani; la sua attività rimase a lungo collegata all’Accademia. In un atto notarile del Seicento la stanza è descritta come ” Stanza dei cani”, si può quindi presumere l’esistenza di una decorazione cinquecentesca sotto quella attuale.
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